Ricordo una mattina del 1980, saranno state le 7:30: papà mi stava accompagnando a scuola con la macchina, cosa rara perché d’abitudine ci andavo a piedi da solo, era la prima elementare “ormai sei grande ecc.” Al colmo di questo trattamento lussuoso, il Maggiolino si ferma davanti al panificio, mi vengono affidate 500 lire e mi si dice: “vatti a comprare quello che vuoi”. Scendo trotterellando e mi precipito nella bottega: l’insegna reca in alto PANIFICIO e nel rigo sotto, più piccolo, PASTICCERIA PANARIA, sottotitolo che avevo notato spesso, immaginando che i signori Panaria, pasticceri, si fossero espansi al ramo del salato. Entro: odori, tepore, è tutto fresco, fragrante e sfornato da poco; i panini al burro – spuntino scolasico tipico – sono lì luccicanti in bella mostra ma, chissà perché, in un batter d’occhio decido che la giornata festosa e le 500 lire meritano qualcosa di più moderno, colorato e appetitoso; arraffo un sacchetto di patatine SanCarlo, scommettendo su qualche sorpresina astronautica promessa dalle illustrazioni, e torno in macchina tronfio. Ma non avevo considerato lo scarto generazionale… e tanto effimera fu la contentezza quanto persistente la disperata disillusione del venire rimproverato asprissimamente per aver scelto una “porcheria”. Tragitto senza proferire altre parole, sequestro del sacchetto, a scuola senza merenda e di pomeriggio anche la ripassata sull’alimentazione sana.
Che brutta giornata, che tristezza e che umiliazione delle mie infantili prospettive di modernismo! Perché avrei dovuto spendere 300 lire in panini al burro (sostanzialmente inutili senza salame o altre leccornie nel mezzo) quando con 200 potevo avere patatine croccanti e sorpresina spaziale? Le motivazioni paterne di allora (forse le stesse che addurrei oggi se fossi nei suoi panni) non mi avevano convinto… però una cosa buona papà l’aveva fatta: nell’incazzarsi furiosamente per le patatine si era dimenticato di chiedermi il resto: preziosissimo tesoretto di ben 300 lire che spalancavano davanti a me due possibilità: una vendicativa (comprare altre patatine di nascosto), l’altra intellettuale (comprare un fumetto). Non ricordo cosa scelsi, forse il fumetto, ma so di essere cresciuto a patatine (parzialmente per ripicca, non amando le patate in sé).
Di tutte le patatine fritte assaggiate da allora – e posso giurare di averlo fatto con scienza e coscienza – le SanCarlo sono state le più frequenti e forse migliori, ad onta della recente stupida invasione delle patatine artigianali che promettono a caro prezzo sapori britannici o riconciliazioni campagnole.
Vorrei tuttavia esprimere un lieve dissenso a proposito delle patatine SanCarlo 1936 “antica ricetta”, che contraddicono qualsiasi ambizione di modernità smart dei consumatori d’elezione (i bambini) e mistificano come antica una tradizione che segue di un ventennio la Rivoluzione d’Ottobre, di un lustro il Manifesto dell’aeropittura futurista, di quattro anni addirittura la chiusura del Bauhaus di Dessau e di tre quello di Berlino, il Dadaismo è acqua passata, l’op. 25 di Schönberg e le Bagagelle di Webern sono entrate pacificamente in repertorio… Altro che antichità! Il 1936 è l’anno di Modern Times (“Tempi moderni”) e le patatine sono cibo adatto a Fortunato Depero, non a Giosuè Carducci.
W la modernità! W le patatine! Papà, se lassù incontri SanCarlo, salutamelo e fattene una ragione.